...........Impreparazione? Netta inferiorità? Soprattutto ignoranza strategica e tattica, povertà intellettuale e albagia.................

Gli Storici e gli Storiografi ufficiali e ufficiosi, hanno sostanzialmente sottovalutato se non addirittura ignorato alcuni eventi o episodi accaduti nel secondo conflitto mondiale, sul italiano.
Inoltre, i medesimi autori e commentatori, non hanno degnato di alcuna riflessione detti eventi e le strette correlazioni di detti episodi con le successive fasi delle operazioni.
In buona sostanza, le massime autorità, quelle cui competeva la conduzione della guerra, non ritennero o non considerarono necessario se non utile e indispensabile, su determinate e valutarne le possibili implicazioni e applicazioni, escludendo, quindi, il che il nemico, al contrario, disponesse di tali forme di valutazione. E ne facesse oggetto di ricerca, studio, analisi, apprezzamento e utilizzo.
Nelle note che seguono si è inteso evidenziare una catena di situazioni da cui emerge in misura lampante quali furono i limiti intellettuali dei massimi responsabili militari dell’Italia durante il secondo conflitto mondiale. E, conseguentemente, individuando una, forse la principale, causa della disfatta.
Si è pertanto venuta a formare, all’indomani della sconfitta militare e del disastro nazionale, una duplice spirale:
da un lato la somma dei risultati prodotti dall’l’incompetenza,dalla superficialità,dalla  spocchia, dall’inadeguatezza,  dei massimi esponenti (se si preferisce, ) militari assisi ai vertici degli Stati Maggiori (Pietro Badoglio, Rodolfo Graziani, Domenico Cavagnari, Inigo Campioni, Angelo Iachino,  Luigi Sansonetti, Francesco Maugeri, Carlo Favagrossa, Ettore Bastico, Ugo Cavallero, Gastone Gambara, lo stesso Benito Mussolini (capo del governo e pluri/ministro), Giuseppe Valle, Francesco Pricolo, Giuseppe Santoro. etc,etc.), e da quanto essi svolsero,  attuarono e sabotarono;
dall’altro, la degli autori, di cui ancora molti, siamo alla terza o quarta generazione, lavorano tenacemente e con grossi vantaggi, per alimentare i falsi, le mistificazioni, le alterazioni, le contraffazioni documentali, le simulazioni e ogni altra diavoleria pur di consolidare il giudizio storico costruito in almeno trent’anni di  manipolazioni.
Impossibile ottenere un contraddittorio, un dibattito. Chi non faccia parte del coro è messo all’indice, ignorato, oscurato, considerato un folle.
Veniamo al movente delle presenti note.
La notte del 22 giugno 1940 (il Regno d’Italia era in guerra da dodici giorni), un apparato radio telemetrico  (utilizzando gli effetti di riflessione che le onde ultracorte subiscono sugli ostacoli, ai fini di rivelare, in mare aperto, la presenza di una nave invisibile per oscurità e nebbia)- apparato sperimentale- realizzato dal Professore Ugo Tiberio, e collocato sulla terrazza del Regio Istituto Elettrotecnico e delle Comunicazioni (RIEC) di Livorno (nel sito della   Regia Accademia Navale)-   SEGNALA,con forte anticipo, una formazione di velivoli da bombardamento diretti sulla città labronica. Si trattava di bimotori francesi “Lioré et Olivier” “LeO 45” in rotta per la prima volta sulla città portuale toscana. I velivoli nemici furono intercettati a una distanza di 30 chilometri.
I velivoli francesi avevano le seguenti caratteristiche: anno di costruzione 1935,velocità massima 494 Km/h, autonomia 2.300 Km, quota massima operativa 9.000 metri, armamento 1 cannone da 20 mm. 2 mitragliatrici, 2000 kg di bombe, equipaggio 4 persone.
Quindi, con quella intercettazione, era dimostrata la validità del lavoro svolto dal professor Tiberio nella ricerca e attuazione di un apparato idoneo a vedere un bersaglio  nell’oscurità.
 Il radiotelemetro (in seguito, dopoguerra, classificato Radar dalla terminologia statunitense) era una realtà, in questo caso, tutta italiana.
Nessuno rifletté su quell’avvenimento. Nessuno impose una analisi immediata sulla straordinaria capacità dell’apparato e dell’utilizzo possibile e auspicabile. L’episodio scivolò via, senza alcuna conseguenza. Come se nulla fosse accaduto.
Non è dato sapere se il professor Tiberio ne riferì alle superiori autorità. Probabilmente si attivò…
E’ certo comunque che dopo gli esiti sperimentali positivi dell’ottobre 1939 effettuati  sul Radiotelemetro EC.3, il Comitato Interministeriale che sovrintendeva al lavoro del professor Tiberio e ne seguiva passo/ passo gli sviluppi, aveva diramato un ordine tempestivo, logico, indispensabile: commissionare subito all’ industria del settore radioelettrico la costruzione di una prima tranches di radiotelemetri. E questo ordine fu diramato nel dicembre 1939.

 

MA RIMASE LETTERA MORTA

Accadde poi, notte sul 29 marzo 1941, la tragedia di Matapan- Tre grandi incrociatori, due cacciatorpediniere colati a picco dai Britannici con 2.308 marinai uccisi.
Il seguito fu ancora più drammatico e micidiale nelle sue conseguenze.
Qualcuno, casualmente, si ricordò che il professore Tiberio aveva realizzato degli apparati che <vedevano>, sia di notte sia  di giorno, la minaccia incombente. Si decise di  controllare quali fossero le capacità di tali apparati radiotelemetrici.
E si scoprì, con sgomento e stupore (purtroppo non si ebbero seguiti di suicidi…) che il radiotelemetro ideato e realizzato dal professor Tiberio (ATTENZIONE!: si parla di prototipi) intercettava naviglio mercantile di stazza media a dodicimila metri (sei miglia nautiche e mezzo) e un velivolo, fatto alzare in volo da Pisa, a 80.000 metri di distanza.
Neppure tali esisti di collaudo indussero gli alti comandi a chiedere la disponibilità di masse di radiotelemetri per equipaggiare basi aeree, unità navali, ricognitori, etc. Sino a quel momento si riteneva che il nemico non disponesse di tali apparati. Quindi, a cosa sarebbero serviti…
Eppure i responsabili del disastro di Matapan e un ufficiale specialista del settore avevano potuto riscontrare che a Matapan i Britannici disponevano di radiotelemetri o, come li definivano i britannici  (in un libera traduzione in italiano) di radiolocalizzatori, il che, in sostanza, è l’equivalente. Infatti era stato intercettato un messaggio radio nemico poco prima che la tragedia spazzasse via le navi italiane e facesse strage degli equipaggi. Messo in  chiaro a Roma,  dopo il rientro dei superstiti, il messaggio affermava che si era intercettato l’ eco di un bersaglio a una distanza tale che le condizioni di quella notte non avrebbero consentito di scoprirlo  mediante l’uso di binocoli notturni ... Dal che derivava che il nemico, <probabilmente>, <presuntivamente>, disponeva ( o disponesse) di una particolare forma  di apparati radio telemetrici analoghi a quelli concepiti, ideati, costruiti, artigianalmente dal professore Ugo Tiberio, uno dei quali aveva intercettato i velivoli diretti su Livorno.
Neppure questo fece scattare quella che il professore Tiberio definì “mobilitazione radiotelemetrica”. Tutto fu affrontati all’italiana, senza fretta, senza decisione, in modo molle e cauto. Con prudenza. Permaneva negli alti comandi una sottile diffidenza, un sostanziale rifiuto, una ostilità preconcetta nei confronti del “nuovo”, quasi che il radiotelemetro insidiasse il prestigio, il primato,  il ruolo degli Ufficiali di Stato Maggiore, addestrati e, unici, destinati al comando. Era la conseguenza dell’ignoranza nella quale erano stati  “allevati”,  “coltivati” “coccolati” gli ufficiali destinati agli alti livelli. Un esempio fra i tanti. L’ammiraglio  Brivonesi, responsabile di uno dei maggiori disastri navali italiani nella seconda guerra mondiale, considerato non idoneo al comando da parte del capo di stato maggiore, numero <uno> della Regia Marina Militare, ma posto egualmente al comando e vilmente ritiratosi mentre, con una potente squadra navale, era a protezione di un convoglio  sotto attacco nemico, attacco che si risolse nella totale distruzione del convoglio stesso.
Il rifiuto del Radiotelemetro o se si preferisce del Radar,home made, causò perdite, lutti spaventosi, e aprì la voragine entro la quale è sprofondata la Nazione e dove tuttora ansima e annaspa con  presunzione e arroganza, miseramente povera di senso del ridicolo.
Per rendersi conto di quale sia stato il danno causato dall’insipienza di Supermarina (l’alto comando navale italiano durante il secondo conflitto mondiale) sarà sufficiente evidenziare quanto segue.
La prima nave militare italiana equipaggiata con un radar fu il cacciatorpediniere “Legionario”, dotato di un radiotelemetro di produzione germanica   (Apparato FU.Mo 24/40Ggl De.Te.).
Il caccia combatté durante la battaglia di “Mezzo Giugno” 1942, comportandosi in modo brillante, intercettando con il radar gli aerei nemici in attacco contro la formazione navale italiana, sei minuti prima che i velivoli nemici fossero avvistati dalle vedette, fornendo in tal modo alla Squadra italiana quel supporto di notizie e informazioni sull’azione avversaria che sino ad allora era mancato a causa della ottusità e della ignoranza abissale dell’alto comando.
E’ opportuno soffermarsi su un dato periodo del conflitto che ebbe sul mare la sua manifestazione più  tragica e decisiva.
L’11 aprile 1941 il generale Rommel, dopo la fulminea, rapidissima, riconquista della Cirenaica, a esclusione del campo trincerato di Tobruch, ordinò il primo attacco a Tobruch stessa senza ottenere risultati significativi. Un secondo attacco ebbe luogo il giorno 14 e un terzo il giorno 15, seguito da altra azione il giorno 16. Il tutto solo per “appurare” che i Britannici si erano ottimamente trincerati, disponevano di artiglierie (tra cui quella abbandonata dagli italiani  e subito reimpiegata) e di munizioni in abbondanza ( in gran parte abbandonata dagli italiani e proprio del calibro idoneo per i cannoni citati).
Rommel aveva bisogno di rifornimenti. In particolare armi adatte, con relativo munizionamento, rincalzi e approvvigionamenti vari (viveri, equipaggiamenti. etc.) carburanti.
I Britannici non stavano con le mani in mano e mentre la squadra navale italiana, quella rimasta efficiente dopo l’attacco su Taranto ( tre navi da battaglia fuori combattimento,  senza poter sparare un colpo,con la  corazzata Cavour virtualmente colata a picco) era tenuta nella bambagia, il nemico, corazzate Warspite, Barham e Valiant  e relativa scorta, bombardavano, con i grossi calibri, 381 mm., per quaranta minuti abbondati Tripoli e il suo porto. Questo alle ore 05.00 del 21 aprile 1941. Di cosa disponeva l Regia Marina subito dopo aver subito la disfatta di Taranto?
Navi da battaglia Andrea Doria e Vittorio Veneto, incrociatori pesanti Zara, Pola Fiume, Gorizia, Trento, Trieste, Bolzano, 12 incrociatori leggeri, una cinquantina di cacciatorpediniere,una sessantina di torpediniere e una ottantina di sommergibili.
Il dispositivo italiano non aveva a disposizione le opportune forze aeree, magari imperniate su ricognitori a grande raggio e, soprattutto, aerosiluranti, per tallonare e contrastare l’azione nemica. Non si era mai neppure ipotizzata una operazione del genere.
Il nuovo attacco su Tobruch era previsto per il 30 aprile. La piazzaforte era appoggiata dal fuoco di unità della flotta nemica ( la citata Mediterranean Fleet, la cui base era Alessandria d’Egitto). Anche in questo caso la squadra navale italiana che pur disponeva ancora delle corazzate Doria e Vittorio Veneto, di numerosi Incrociatori tra pesanti e leggeri e di molti, molti sommergibili, unitamente a Cacciatorpediniere, Torpediniere e naviglio sottile veloce, rimase prudentemente agli ormeggi.
E’ indispensabile rimarcare che mai i cervelli della marina e dell’aeronautica avevano pensato ad azioni  coordinate tra unità di superficie,aerosiluranti e sommergibili (ad esempio facendo perno sull’isola di Rodi, che avrebbe consentito con un’azione combinata tra velivoli da ricognizione e sommergibili), di avvertire, in tempo reale, l’uscita in mare della Squadra da battaglia britannica.
Nel frattempo il nemico, molto più intraprendente e capace di utilizzare al meglio i mezzi a disposizione, specialmente ricognitori marittimi e sommergibili, coordinati nell’azione dal radar e dalle costanti comunicazioni irradiate dalle sale operative, provvedeva a togliere di mezzo i rifornimenti, impedendo che essi giungessero in Libia e alimentassero gli attacchi, rivelatisi micidiali, delle forze italo-germaniche al comando del generale Rommel. Con ciò obbedendo ad un  ordine tassativo del primo ministro Winston Churchill, il quale aveva stabilito che si dovessero ad ogni costo tagliare i rifornimenti tra Italia e Libia. Un ordine sgradito per l’ammiraglio Cunningham, preoccupato della presenza in Sicilia della Luftwaffe, ma eseguito alla lettera.
Infatti, la notte del 16 aprile 1941 un convoglio di cinque mercantili stracarichi di armi, munizioni equipaggiamenti e materiali scortato solamente da tre cacciatorpediniere, Lampo, Baleno e Tarigo venne distrutto dall’azione di quattro cacciatorpediniere inglesi, dotati di radar, usciti da Malta su segnalazione di un ricognitore che in precedenza aveva scoperto il convoglio, fornendone, in seguito, più volte, posizione, composizione, rotta e velocità stimata.
I mercantili colati a picco con i loro preziosi carichi erano: Sabaudia, Arta, Adana, Aegina , Iserlon.
Il piroscafo Sabaudia carico di munizioni esplose : il mercantile si perdette in una palla di fuoco e di inferno.  Le navi del convoglio avevano nelle stive automezzi e fusti di benzina: le cannonate del nemico innescarono furiosi incedi. E’ interessante notare che nel suo rapporto il cacciatorpediniere britannico Nubian afferma, tra l’altro.  “Prendo contatto a mezzo radar ad una distanza di 12.000 yards (circa 10 mila metri) su rilevamento est”. Facile per i Britannici localizzare, utilizzando il radiotelemetro, il convoglio, de <pedinarlo>, attendendendo il momento propizio per attaccare e dirigere il fuoco mediante il medesimo radiotelemetro. Con ogni probabilità nel rapporto indicato, non si sarà usato il termine radar in quanto tale denominazione fu applicata,dopo il 1943, dagli americani, quale acronimo ricavato dalla classificazione tecnica dell’apparato: “RAadio Detecting And  Ranging (individuazione e telemetria di oggetti per mezzo della radio) (Acronimo USA,1943). Quasi sicuramente i Britannici all’epoca usavano la classificazione RDF (Radio Director Finding , Rilevamento Direzione Portata) oppure RDL, Radiolocator.
 

Alcuni commentatori non attribuiscono importanza all’episodio, considerandolo del tutto normale in una guerra. Resta il fatto che i Britannici non subirono mai in Mediterraneo una sconfitta del genere, sia pure temperata dall’affondamento di uno dei quattro cacciatorpediniere britannici protagonisti dell’attacco devastatore, tuttavia rimane il fatto, assolutamente non secondario e tantomeno marginale, che i carichi di quelle cinque navi da trasporto non solo erano attesi, ma considerati estremamente importanti in vista dell’attacco da reiterarsi contro Tobruch e la sua cinta fortificata.
Si verificava pertanto quanto ordinato da Curchill. Tagliare i rifornimenti a Rommel che contrariamente ai generali italiani, Graziani in testa, costituiva una severa forte minaccia agli interessi britannici in Egitto e in Medio Oriente, data la sua sgradevole abitudine nel voler fare la guerra seriamente(come aveva fatto precedentemente in Francia) e colpire con la fredda decisa volontà di annientare il nemico.
A conferma della volontà britannica di voler impedire a Rommel di dispiegare tutte le forze assegnategli dall’alto comando germanico (in sostanza da Hitler, che intendeva in tal modo aiutare l’alleato, ancora sotto lo choc provocato dalla disfatta subita tra il dicembre1940 e i primi giorni di Febbraio 1941) gli Inglesi effettuarono due operazioni intese a sconsigliare a Rommel di assumere l’iniziativa e di mantenerla e, nel contempo,finalizzate al liberare Tobruch  (o Tobruk) dall’assedio imposto dalle forze dell’Asse. Si ebbero così l’operazione Brevity e la più complessa e articolata operazione Battleaxe. Entrambe si conclusero con la sconfitta britannica, la seconda, in particolare, assolutamente bruciante perché confermò la decisa, netta superiorità tedesca in fatto di manovra di combattimento delle forze corazzate e motocorazzate e la superiorità micidiale delle armi contro/carri tedesche, in particolare il cannone da 88 mm senza dimenticare i pezzi da 50mm.
Quindi Rommel costituiva una autentica, letale minaccia: doveva essere sconfitto, ricacciato dalla Cirenaica e dall’intero Nord Africa. Lui e le sue truppe, così poco sensibili alle esigenze del Leone Britannico che si doveva leccare le ferite infertegli da quei crucchi così poco eleganti, ma estremamente combattivi e capaci di sparare. Persino gli italiani, sotto il suo comando si erano rivelati efficaci e decisivi.
 

E così l’alto comando Britannico allestì e confezionò le forze (VIII Armata) per togliere di mezzo Rommel e il suo Afrika Korps.
Nel frattempo, e per la seconda volta  (dopo la prima proposta avanzata nel settembre 1940!!!), Hitler propose a Mussolini l’invio in Afrika di ulteriori tre divisioni corazzate  oltre le due già schierate(15^ e 21^) ( esattamente le panzerdivisionen 6^, 7^ e 10^) per chiudere definitivamente la questione nord-africana e quella del Mediterraneo orientale. Ma ancora una volta il capo del governo italiano rifiutò, stupidamente, irresponsabilmente, con   una decisione autolesionista ben oltre il confine con il suicidio politico, militare e storico. I capi militari italiani dimostrarono di non saper valutare la tenacia degli Inglesi e il potenziale economico dell’Impero e quello dell’industria  bellica statunitense, a totale supporto  delle forze britanniche.
In quella fase della guerra, la potenza militare terrestre e aerea dei Tedeschi era nettamente superiore, sia tecnicamente, sia tatticamente. Mussolini e i suoi generaletti non avevano  né la stoffa, né l’intelligenza, e tanto meno la preparazione e l’umiltà, per rendersene conto e immediatamente approfittarne, cercando di imparare qualcosa  e di allinearsi per quanto possibile.
La riprova si ebbe quando i Britannici attaccarono nel novembre 1941 con una forza che superava i settecento carri armati, forza mai vista nel deserto della Marmarica.
Ebbene Rommel pur inferiore quanto a mezzi (ah! quelle tre divisioni panzer rifiutate da Mussolini!!)) distrusse l’intera forza corazzata nemica. Invase l’Egitto e fu costretto a ripiegare solo per il tradimento di due generali italiani, Gambara e Piazzoni. Che, ovviamente, ne uscirono indenni, invece di essere fucilati.
Proprio nel momento culminante di quella furiosa battaglia, i britannici riuscirono, con l‘aiuto di forze oscure e tuttora non chiarite,  a distruggere rifornimenti cruciali e di grande entità, attesi da Rommel e dalle truppe italo-germaniche.
Ci si riferisce alla distruzione del convoglio Duisburg, avvenuta il 9 novembre 1941.
A pagina 47 de “Navi e poltrone”, Antonino Trizzino inizia una pagina con questa parole: “Il novembre del ’41 fu terribile per la nostra marina. In quel mese le perdite raggiunsero un livello spaventoso: tredici piroscafi furono affondati, molti altri danneggiati e gli scampati costretti a cercar rifugio nei porti più vicini. Il mare fu letteralmente spazzato delle navi italiane”.
Questo l’elenco dei tredici piroscafi colati a picco con i loro preziosi carichi.
Anna Zippitelli – Duisburg – San Marco – Minatitlan – Maria – Sagitta – Rina Corrado – Conte di Misurata – Procida – Maritza – Adriatico – Capo Faro – Iridio Mantovani.
Il convoglio trasportava in Libia 389 carri armati e mezzi motocorazzati, 17.281 tonnellate di carburanti, 1.579 tonnellate di munizioni, 13.957 tonnellate di materiali vari.
Ci si deve chiedere che cosa sarebbe stato indispensabile al nemico per  annientare in campo aperto  i carri armati e i mezzi motocorazzati di cui sopra. Almeno una forza una volta e mezzo più potente, considerati i risultati già ottenuti dagli italo-tedeschi nelle battaglie combattute in quel periodo.
I britannici erano scesi in campo con una forza complessiva poderosa, nettamente superiore a quella che gli italiani e i tedeschi opponevano. Il fulcro della forza britannica era costituito da tre brigate corazzate, precisamente :
La “Ventiduesima”, con 158 carri “Valentine” (carro appoggio per la fanteria, peso 16 tonnellate, armamento un cannone da 2 libbre, classificato “Infantry Tank Mk III”).
La Settima: dotata di 163 carri Crusader, di 19 tonnellate, armamento identico;
La  Quarta Brigata: con 165 carri Stuart, di fabbricazione americana, 12,3 tonnellate. Armati con un cannone da 37 mm.
Inoltre le truppe assediate a Tobruch disponevano di 149 carri armati, di cui 69 Matilda, fortemente corazzati.
In totale, l’VIII armata britannica disponeva di 486 carri armati, su un totale schierato in quella offensiva, di 770 unità mezzi corazzati (oltre i 149 all’interno del campo trincerato di Tobruch, vi erano 30 carri Matilda assegnati a una divisione indiana). I carri effettivamente impiegati dall’VIII  armata secondo,  altre fonti britanniche,sarebbero stati, in totale, 665, comunque il doppio rispetto ai mezzi corazzati germanici e italiani (questi ultimi inquadrati nella divisione corazzata Ariete).
Lo svolgimento della  battaglia vide, in una prima fase, il movimento della Settima brigata corazzata in direzione di Bir el Gobi, con l’obiettivo di assumere il controllo della posizione ritenuta una delle chiavi del successo tattico britannico, preludio a quello strategico dello sblocco dell’assedio di Tobruch e della conseguente distruzione dell ‘Akrika Korps.
Malauguratamente per i Britannici, Bir el Gobi era presidiata dalla divisione corazzata italiana Ariete che contrariamente alle attese e alle  previsioni nemiche, oppose una durissima, orgogliosa resistenza infliggendo alla brigata corazzata inglese una pesante lezione: l’Ariete distrusse,affermano fonti qualificate, 84 carri nemici, perdendone una trentina.
In sintesi, La settima brigata corazzata inglese fu ridotta a meno di ottanta carri. Fu questo il primo scacco subito dal nemico. Uno scacco che compromise i piani del comando britannico.
Il 21 novembre si combatté durissimamente a Sidi Muftàh, nelle vicinanze di Sidi Rezegh. A sera alla Settima brigata corazzata non rimanevano che dodici carri dei 163 con i quali era entrata in battaglia.
Poche ore più tardi si ebbe il capolavoro di Rommel.
Durante la notte le divisioni panzer circondano quarta brigata corazzata inglese. Alle prime luci del giorno i tedeschi attaccano.
Quando il combattimento ebbe fine, la quarta brigata britannica era distrutta.
Dei 486 carri armati con i quali le tre brigate corazzate inglesi avevano dato il via all’offensiva, ne rimanevano solo poco più di una cinquantina (55, precisano le fonti).
Il  23 novembre,a Sidi Rezegh,  sconfitte le residue forze nemiche, annientata una brigata sud-africana che si arrese  con il suo comandante ( seimila uomini fatti prigionieri da italiani e tedeschi)  la battaglia si concluse con uno straordinario successo italo-germanico.
Il seguito degli avvenimenti è amaro e deludente. Per rendersene conto è necessario documentarsi, a giudizio di chi scrive le presenti note, su due lavori: “Gli amici dei nemici” di Antonino Trizzino e “La vittoria tradita” di Piero Baroni.
Qui, invece, si deve affrontare il significato e i retroscena di uno degli avvenimenti più tragici e sanguinosi, oltre che vergognosi, della “guerra dei convogli”. La citata distruzione del convoglio Duisburg.
 

Fu la conferma, se ancora ve ne fosse stato bisogno, dell’assoluta mancanza di una concreta effettiva coordinazione delle forze disponibili e dell’insipienza elementare dell’alto comando(o Comando Supremo), ammesso che tale definizione si attagli alla realtà operativa italiana.
L’andamento della battaglie e i successi conquistati dalle forze italo-germaniche erano noti sia al comando superiore in Libia (Generale Bastico e generale Gambara , suo capo di Stato Maggiore) sia a Roma,a Mussolini, a Badoglio, a Supermarina e a Superaereo ( rispettivamente , gli Stati Maggiori della Regia Marina e della Regia Aeronautica). Ne conseguiva che i rifornimenti assumevano un ruolo primario nel momento tattico decisivo del combattimento. Si sarebbe dovuto avere se non altro la sensibilità politica di fornire tutto l’aiuto possibile, a quanti combattevano nel deserto della MARMARICA,  infliggendo pesantissime perdite all’armata britannica, volta in fuga precipitosa. Al contrario, al convoglio Duisburg (dal nome di una delle navi che ne faceva parte e che ne era il capofila) fu assegnata una scorta diretta formata da sei cacciatorpediniere e una scorta indiretta costituita dagli incrociatori pesanti  Trento  e Trieste, ciascuno armati con otto cannoni da 203 millimetri e dodici da 100 millimetri,  con i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino.
Va tenuto presente che la minaccia britannica era rappresentata una formazione navale denominata “Forza K” di cui facevano parte due incrociatori, Aurora e Penelope di  5.000, tonnellate armati con cannoni da 152 millimetri, e da due cacciatorpediniere: Lively e Lance. Tutte navi dotate di radiolocator, come il radar all’epoca era denominato dalla Royal Navy.
E’ veramente straordinario che Supermarina  non abbia riflettuto, dopo le esperienze effettuate nell’aprile 1941 con i radiotelemetri  ideati e realizzati dal professor Tiberio e sui risultati dimostrati, sulla esigenza urgentissima di disporre di tali apparati da installate sulle unità demandate alla scorta dei convogli, utilizzando prima di tutto gli apparati già disponibili , escogitando qualche soluzione all’italiana pur di avere almeno una nave di scorta, sia pure una modesta torpediniera, in grado di scoprire, di vedere la minaccia tempestivamente, con il dovuto preallarme e con un sistema di comunicazione capace di allertare le altre unità, predisponendo una difesa idonea, se non altro per non fare la fine del topo in trappola, come invece accadeva sistematicamente e come si è indicato. In parole semplici, senza essere colti di sorpresa, bersagliati dal fuoco diretto sui bersagli dai radiolocator, come era accaduto troppe volte, (convoglio Tarigo…).
Altra eccezionale condizione, quella di non disporre di velivoli per la scorta notturna, velivoli, naturalmente, con a bordo un radiotelemetro. Nessuno ebbe il buon senso di meditare su tali ipotesi? E di imporre  che si attuassero le necessarie misure per avere a breve qualcosa che potesse contrapporsi all’efficienza nemica?
Si deve credere che ancora alla fine del 1941, poco meno di dieci mesi (!!) dopo le esperienze condotte sui radiotelemetri nell’aprile precedente, nessuno avesse ordinato, imposto, preteso che i radiotelemetri fossero messi in funzione almeno su una nave o su un aereo?
Tra i  numerosi interrogativi che scaturiscono dalla vicenda del radar  italiano, tuttora senza analisi e risposte da parte degli Storici Ufficiali, uno in particolare colpisce e annichilisce.
Non merita forse particolare considerazione il <radiotelemetro> RDT.3 o EC.3, risalente al 1939, e sempre alloggiato sulla terrazza del RIEC di Livorno, apparato che il 28 maggio 1943 rilevò una formazione di quadrimotori americani a 300 chilometri di distanza?
Era il medesimo apparato che la notte del 22 giugno 1940 aveva intercettato i bombardieri diretti sul porto di Livorno. Allora l’intercettazione si era verificata alla distanza di 30 chilometri.  Nel 1943 l’apparato era stato dotato di un elemento di generazione successiva che ne aveva esaltato le capacità: si trattava di un blocco trasmettitore di maggiore potenza, risultato del  normale, logico risultato dello sviluppo, della ricerca, della sperimentazione e  della conseguente applicazione tecnico-scientifica.
Sarà forse per deformazione professionale e anche per condizionamento automatico per tipologia di studi, ma le  cifre sono un elemento quanto mai attendibile delle analisi.
In considerazione di ciò,  oltre quanto precede e soprattutto con riferimento all’episodio del radar alloggiato sulla terrazza del RIEC, si segnala che tra l’aprile e il giugno 1941 mentre il generale Rommel riconquistava la Cirenaica, sconfiggeva duramente i Britannici in due cruente battaglie (operazioni Brevity e Battleaxe, su iniziativa del nemico):(quest’ultima operazione  fu il primo grande scontro di forze corazzate tra Britannici e l’Afrika Korps), mentre tutto ciò accadeva,  i convogli marittimi diretti dall’Italia alla Libia subivano le seguenti perdite:
aprile 1941:  13 piroscafi affondati ( di cui cinque in un’unica azione)
Maggio 1941: 11 piroscafi affondati
Giugno 1941: 13 piroscafi affondati.
Ancora: mentre il generale tedesco stava pianificando e preparando l’attacco per la conquista di Tobruk,  e i  Britannici completavano e perfezionavano il dispositivo dell’Offensiva denominata in codice <Crusader>,  si dovettero registrare le seguenti perdite in mare:
settembre 1941: 12 piroscafi e cisterne affondati
ottobre 1941:  11 piroscafi affondati
novembre 1941:  13 piroscafi affondati di cui cinque in un’unica azione notturna.
Non  vi sono dubbi che ogni qualvolta la situazione tattica delle truppe britanniche volgeva al peggio, le perdite italiane in mare salivano vertiginosamente, privando le truppe impegnate in azione nel deserto libico e in Marmarica degli indispensabili rifornimenti di munizioni, equipaggiamenti, armi e  rincalzi.
L’offensiva scatenata dai Britannici contro i convogli italiani dalla primavera del 1941 se,apparentemente, rientrava in un normale  disegno tattico,   in sostanza era una vera e propria scelta strategica, come è stato più sopra indicato, per eliminare la minaccia tedesca che era di tutt’altro spessore rispetto a quella costituita dall’inadeguatezza italiana, particolarmente quanto ad armi, tattiche di impiego,  efficacia dell’aviazione. Senza dimenticare o sottovalutare il peso specifico delle fonti informative di cui disponevano i Britannici, sin da prima dell’entrata in guerra del Regno d’Italia e, via via, perfezionate e ancor più decisive (lo conferma il testo dell’articolo 16 del trattato di pace firmato nel febbraio del 1947 a Parigi e  da allora mai denunciato e tanto meno scalfito da dichiarazioni o prese di posizione adeguate dai vari governi italiani, con ciò confermandone la veridicità, la costante e continua validità e sottolineandone il vincolo condizionante in merito all’esercizio della  Sovranità Nazionale).
 

3 SETTEMBRE 1941: Motonave da carico, Andrea Gritti, tonnellate  s.l. 6.338, costruita nel 1939 Appartenente alla Soc. Italiana di armamento Sidarma, con sede in  Fiume, Iscritta al Compartimento Marittimo di Fiume, matricola n. 93.
Il 3 settembre 1941, mentre navigava in convoglio, da Napoli a Tripoli, alle ore 00,30 a circa 25 miglia a sud-sud-est di Capo Spartivento (37°33’ nord e16°26 est), ,  durante un attacco di aerosiluranti nemici, fu colpita da un siluro e dopo pochi minuti esplose travolgendo la quasi totalità dell’equipaggio.
La motonave trasportava, tra l’altro, la maggior parte dell’armamento della Divisione motorizzata “Trieste”, destinata a formare con la divisione corazzata <Ariete>, il Corpo d’Armata di Manovra (C.A.M.).
Il convoglio era formato dai seguenti mercantili: Motonave A. Gritti (T.s.l.6.338),  Mn. Rialto (T.s.l. 6099), Mn. Vettor Pisani (t.sl.l.6339), Mn. F. Barbaro (T.s.l.  6.343), Mn. S. Venier (T.s.l. 6.406). Nel complesso si trattava di motonavi per un  totale di T.s.l. 31.525, con una serie di carichi preziosi, oltre quello che riguardava la divisione motorizzata  “Trieste”.
Ebbene la scorta era formata da quattro cacciatorpediniere: Da Recco, Dardo, Folgore, Strale. In seguito, per rinforzo alla motonave  Barbaro, giunsero i Ct. Ascari e Lanciere.
In sintesi per  cinque mercantili e i loro insostituibili carichi, la scorta fu di sei cacciatorpediniere.

Il Gritti, aerosilurato, saltò in aria con 347 Uomini dei 349 imbarcati, mentre il Barbaro, silurato anch’esso, venne rimorchiato e Messina,sotto la protezione di tre cacciatorpediniere ( Dardo, Ascari e Lanciere).
Aerosiluranti: l’arma disprezzata, derisa, beffeggiata, rifiutata con nausea  e ribrezzo dalla Regia Aeronautica, faceva a pezzi la nostra Marina Mercantile, colando a picco carichi bellici che se giunti indenni Libia avrebbero mutato le sorti della battaglia in preparazione e forse,  addirittura, l’esito della guerra in Nord Africa.
Quanto precede non per sottolineare un <episodio> drammatico fra i troppi verificatisi, ma quale premessa ad una considerazione e ad un teorico raffronto.
  A dicembre del 1941 ai Britannici si presentò l’esigenza di rifornire di carburanti l’isola di Malta onde consentire l’autonomia operativa della Forza K e dei sommergibili facenti base nell’Isola dei Templari.
L’ammiraglio Cunningham  organizzò una complessa operazione per consentire al mercantile Breconshire di rifornire Malta. Il 17 dicembre la nave da carico era scortata dagli  Incrociatori leggeri Naiad, Carlisle ed Eurayalus e da otto cacciatorpediniere Jervis, Kimberley, Kingston, Kipling, HMS Nizam, Havock, Hasty e Decoy. Intervenne anche la Forza K con gli incrociatori  Aurora e Penelope e i cacciatorpediniere Lance e Lively. Si aggiunsero poi un altro incrociatore e quattro cacciatorpediniere In  sostanza, sei incrociatori e sedici cacciatorpediniere per proteggere la navigazione di un solo mercantile, ancorché importante.
Ed ecco il raffronto:
La Regia Marina, abbiano visto più sopra, per cinque mercantili ritenne sufficiente la scorta di sei cacciatorpediniere.
Mentre la Breconshire era impegnata per raggiungere Malta, un convoglio italiano navigava alla volta della Libia. In quell’occasione erano in mare, per la Regia Marina, quattro  corazzate, 2 incrociatori pesanti, 3  incrociatori leggeri e 19 cacciatorpediniere.
Si trattava dello scenario di quella che è stata definita la prima battaglia della Sirte , in effetti non accadde alcunché, se non qualche cannonata dimostrativa italiana alla distanza superiore ai 29.000 metri. Nessun danno a nessuno. Ambedue le operazioni di rifornimento ebbero successo. Da notare che la ricognizione aerea cadde in errore e segnalò la Breconshire come una corazzata e l’ammiraglio Iachino, comandante superiore in  mare, reduce da poco tempo dal disastro di Matapan, si guardò bene dallo spingere a fondo per agganciare gli Inglesi, pur essendo in condizione di enorme superiorità. Si perdette una buona occasione. I fantasmi di Matapan giocarono un ruolo di primissimo piano.
I Britannici, comunque, perdettero un incrociatore (Neptune) e un cacciatorpediniere (Kandahar), saltati su un campo minato steso dagli italiani.
Riesce difficile comprendere la ragione per cui il Comando Supremo non provvide a sbarcare l’ammiraglio Iachino,privandolo del comando della Squadra Navale, in considerazione del fallimento della missione durante la quale aveva perduto tre grandi incrociatori e due cacciatorpediniere, senza aver inferto alcun danno al nemico, tranne l’abbattimento di biplano aerosilurante, protagonista del colpo sulla corazzata Vittorio Veneto.
Al fine di evidenziare quale fosse la differente valutazione del nemico in merito alla protezione dei convogli di mercantili, si precisa che nel mese di maggio 1941, da Gibilterra prese il largo un convoglio di cinque navi mercantili. Della scorta facevano parte: la portaerei Ark Royal, le navi da battaglia Renown e Queen Elizabeth, 3 incrociatori e 9 cacciatorpediniere. Nessuno insidiò la navigazione, salvo qualche sporadico attacco aereo da parte della Regia Aeronautica.
E i Britannici segnarono nella attività del loro bilancio tattico il successo.
A luglio del 1941, un nuovo convoglio lasciò  Gibilterra sotto forte protezione. Sei mercantili con la scorta di: corazzata Nelson armata con nove cannoni da 406 mm, 3 incrociatori (Edinburgh, Manchester, Arethusa), 10 cacciatorpediniere, cui si aggiunsero poi la portaerei Ark Royal, l’incrociatore da battaglia Renown, tre altri incrociatori e numerosi cacciatorpediniere. La Regia Marina non diede segno di vita pur disponendo di tre navi da battaglia, tre incrociatori pesanti e 4 leggeri. Contro i nove cannoni della Nelson, la Regia Marina poteva opporre 18 cannoni da 381 millimetri, 10 da 320 e 24 da 203 millimetri che avevano una gittata analoga ai grossi calibri delle corazzate.
I convogli avevano il compito di rafforzare Malta e di far pervenire in Egitto il necessario per l’allestimento della grande armata con la quale in seguito attaccare Rommel (Offensiva Crusader, novembre 1941) (con riferimento a questa offensiva, si suggerisce la consultazione de “La vittoria tradita” (Edizioni Settimo Sigillo, Roma).
Avviandoci alla conclusione delle presenti note,dedicate essenzialmente al primo anno di guerra dell’Italia (Giugno 1940- Giugno 1941), è utile fare un primo bilancio:
La Regia Marina, 12 novembre 1940,  subì la perdita di tre navi da battaglia Littorio, Duilio e Cavour (attacco di aerosilurati nemici a Tarato), il 50 % della Squadra da Battaglia fuori combattimento.
28 marzo 1941 siluramento della nave da battaglia Vittorio Veneto e perdita totale di tre incrociatori pesanti, Zara, Pola, Fiume e di due cacciatorpediniere , Alfieri e Carducci.
Nel medesimo periodo, appunto un anno, si dovettero anche registrare le perdite di 49 navi mercantili e dei rispettivi carichi bellici e di  non pochi Cacciatorpediniere e Torpediniere delle scorte.
Migliaia le perdite umane in mare: equipaggi e militari di truppe destinate al fronte nord-africano.
E questo per una <filosofia> assurda(la flotta in potenza) e nel criterio riduttivo della protezione dei convogli e, prima ancora , nell’avere osteggiato e, colpevolmente ignorato il radiotelemetro. La dimostrazione della sua capacità di scoperta e intercettazione si era avuta la notte del 22 giugno 1940 e, precedentemente, in un collaudo, effettuato quasi clandestinamente, negli ultimi mesi del 1939! (Infostorianews)