GENERALI IN CONTROLUCE - parte 2

Esame di coscienza

Solo nell’amaro e penoso dopoguerra alcuni autori (ad esempio Giorgerini) ebbero l’ardire e il buon gusto di evidenziare l’inadeguatezza concettuale di chi, nella seconda metà degli anni ’30 del secolo scorso, non seppe apprezzare correttamente e tempestivamente il rilievo della sicurezza dei trasporti via mare tra l’Italia e la Quarta sponda (Libia), denunciando il ritardo nel provvedere alla costruzione di unità sottili particolarmente equipaggiate per la guerra antisom e antiaerea a protezione dei convogli. Si trattò di uno dei più gravi errori commessi dai vertici della Regia Marina, unitamente a quello, altrettanto clamoroso, legato alla sottovalutazione del radiotelemetro, episodio raccapricciante e tuttora da brividi!

Nella dura sostanza della realtà che si tramutò in Storia, non vi fu alcuno che si pose una semplice puerile domanda: c’è o n on c’è una bella differenza tra il vedere (anche con lo scarto di alcune decine di metri) e il NON vedere la minaccia di una formazione navale o aerea?
Mentre l’Italia si trastullava con quanto sopra indicato, nell’atmosfera dell’indifferenza, del cinismo, dell’ironia, del sarcasmo sghignazzante più becero immaginabile, in un clima di oscurantismo e soprattutto di superficialità e albagia, i Britannici, non rinunciando all’originaria ereditaria metodica tenacia germanica presente tuttora nel loro DNA, avevano già equipaggiato alcune delle loro unità di superficie con quelli che definivano , rivelatori radar, primordiali, sperimentali, ma che vedevano nell’oscurità, segnalando presenze estranee, sicuramente nemiche, e consentendo di predisporre contromisure immediate, preventive, fornendo rilevamenti di distanza e rotte seguite dall’avversario, ignaro di essere già stato designato quale bersaglio alle bocche da fuoco nemiche.
Con l’intento di chiarire, una volta per tutte (si è scritto, in precedenza) la questione RADAR in Italia, si aggiunge quanto segue per la riflessione di quanti vogliano, in buona fede e nel rispetto dei documenti veritieri, comprendere:
L’apparato radiotelemetrico ideato e costruito artigianalmente dal professor Ugo Tiberio e dislocato sul terrazzo dei RIEC, apparato snobbato dai gallonati ammiragli di Supermarina, giudicato (1939 !!!) una trappola dal numero uno della Regia Marina, l’ammiraglio Domenico  Cavagnari, apparato ignorato con alterigia e sussiego dall’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della Squadra Navale, quell’apparato stesso, il 28 maggio 1943, avvistò alla distanza di 300 chilometri una formazione di quadrimotori americani diretti su Livorno, per una durissima incursione diurna. Quel radiotelemetro era il medesimo, proprio quello, utilizzato nelle prove effettuate il 20 aprile 1941, tre settimane dopo il massacro di  Matapan, ed era uno dei tre apparati disponibili da febbraio e che l’ammiraglio Iachino non volle far installare sulle navi della sua Squadra Navale che si apprestava a mollare gli ormeggi per dirigersi nel Mediterraneo orientale.
Si deve qui sottolineare ancora: nel mese di luglio 1940, le ricerche sulla radiotelemetria erano state sospese, per ordine superiore, e tali rimasero sino al dicembre di  quell’anno.
Il radiotelemetro RDT3, sperimentale, disponibile dall’ottobre 1939 e mai collaudato ufficialmente, rimase installato sulla terrazza del RIEC. In seguito venne migliorato “con la sostituzione del blocco trasmettitore” (normalissima procedura, dovuta alle ulteriori ricerche e perfezionamenti, potenziamenti generazionali, comuni a tutte le branche della ricerca sperimentale).
Il radiotelemetro RDT3, orfano del collaudo ufficiale, abbandonato su quella terrazza, nel maggio 1943, VIDE i quadrimotori statunitensi alla distanza di 300 (TRECENTO) chilometri, così come aveva  visto i bombardieri nemici la notte del 22 giugno 1940. Ma nessuno gli fece i complimenti.
Quanto precede e quanto più sopra evidenziato circa l’episodio della notte del 22 giugno 1940  (dodici giorni dopo la dichiarazione di guerra) costituiscono una prova schiacciante dell’approssimazione e della superficialità con le quali si affrontò il conflitto.
Non si vogliono accampare meriti non dovuti per questo si ripropongono i testi di Autori che hanno affrontato l’argomento molti anni addietro senza, a tutt’oggi, aver ricevuto il riconoscimento adeguato.

E i cosiddetti storici insistono nell’ignorare e mistificare tali argomenti, non senza sottovalutarne altri egualmente fondamentali (armi contro/carri, mezzi corazzati, autoblindo).
Sempre con riferimento alle unità scorta convogli di ultima generazione, ma giunte in ritardo, si segnala che tali unità erano armate anche con mitragliatrici antiaeree estremamente efficaci, di concezione e produzione germaniche. Vi è da chiedersi quale mai miopia abbia impedito di acquistarne o acquisirne la licenza di fabbricazione prima di doverne chiedere l’utilizzo o la cessione a titolo amichevole.
Esempi di tale idiozia ve ne sono a bizzeffe!
I tedeschi commissionarono all’industria italiana Whitehead  (con matrice originaria britannica) di Fiume trecento siluri con i rispettivi congegni di aviolancio. Badoglio nella sua veste di Capo di Stato Maggiore Generale ordinò al generale Pricolo (Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica) di commissionare trenta siluri per l’aviazione, ma Pricolo e i suoi tirapiedi si guardarono bene dall’ottemperare all’ordine e il 10 giugno 1940 i siluri non erano stati né ordinati, né erano in costruzione e l’Italia entrò nel conflitto contro la Royal Navy priva di aerosiluranti e dei relativi siluri.


Accadde anche di peggio.
Novembre 1941. Deserto della Marmarica. Prima fase dell’offensiva britannica denominata in codice “Crusader”. Un’intera brigata corazzata dell’VIII Armata, la 22.ma – manovrava sull’ala sinistra dello schieramento britannico con l’obiettivo di occupare e tenere la zona di Bir el Gobi, importante nodo carovaniero e uno dei presupposti fondamentali della strategia nemica. In quel settore era schierata la nostra divisione corazzata . Lo scontro fu durissimo e pur senza averlo previsto, la brigata inglese di trovò in piena battaglia. L’Ariete oppose una violentissima, tenace, aggressiva opposizione e i britannici, sconfitti si ritirarono dopo aver subito pesanti perdite in termini di carri. Secondo il comando della 22.ma brigata inglese, le sue perdite furono di  70 carri, il 50% della sua intera forza corazzata.
La sconfitta subita dalla 22.ma brigata corazzata, ebbe conseguenze gravissime per i Britannici. Uno storico inglese le sintetizzò con queste parole: “ Fu l’inizio di un processo di disgregazione dell’offensiva britannica”.
I Britannici avevano preparato meticolosamente e con una  concentrazione di mezzi  tecnici  sconosciuta sino a quel momento nel Nord Africa, l’offensiva “Crusader” (Crociato), con il chiaro, esplicito intento di distruggere le forze italo-germaniche e spazzarle via dal Nord Africa. Il  punto di forza  dei Britannici era la 7^ Divisione corazzata forte di tre Brigate (22.ma- 7.ma – 4^),  così articolate:
7^ Brigata corazzata con 168 carri (71 carri da  crociera A13, considerati – 26 carri Crusader A15-  26 carri A10 considerati decrepiti).
22.ma Brigata corazzata: 158 carri Crusader.
4^ Brigata corazzata: 165 nuovi carri, tipo Stuart, di costruzione statunitense.
Quindi il comandante della Divisione, generale Norrie, aveva in linea 491 (486, secondo altre fonti) carri armati.
Inoltre:
La 1^ Brigata di Fanteria (generale Watkins) aveva 132 carri di Fanteria tipo Valentine e Matilda;
Mentre a Tobruk, assediata, vi erano altri 69 carri Matilda.
In sintesi (esclusi i carri leggeri) i Britannici disponevano di 724  carri (secondo altre fonti britanniche, 880).
Senza ricorrere al bilancino del farmacista, si deve considerare che dopo giornate di furiose battaglie, la sera del 21 novembre 1941 la situazione dei carri armati dei britannici era la seguente:
7^ Brigata corazzata 12 carri:
la 4^ brigata corazzata era stata circondata e letteralmente distrutta dai carri germanici,
mentre la  forza corazzata nemica era ridotta, nel complesso, a 55 carri armati rispetto ai 486 (o  491)  con i quali era entrata in battaglia.

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Dopo Bir el Gobi, quindi, la 22^ Brigata era ridotta al 50% della sua forza. Lo scontro sconvolse il piano strategico dei Britannici.
Sempre riguardo a Bir el Gobi e al successo, veramente strepitoso, dell’Ariete (I Britannici erano sicurissimi di farne un sol boccone!)  la 22.ma brigata si sottrasse precipitosamente alla lotta. Superba prova dettero (oltre all’intera Divisione corazzata ) gli artiglieri con i cannoni da 102/35. Purtroppo la Divisione ne aveva in linea una sola Batteria su 5 pezzi. Eppure quei cannoni (Progetto francese e costruiti in Italia dall’Ansaldo, particolarmente per la Regia Marina, nel 1915) avevano fornito eccellenti prove già durante la Grande Guerra, con la formula, tutta italiana, di auto-cannoni, cioè a dire, pezzi d’artiglieria resi mobili perché installati su autocarri. Dopo la vittoria nella Grande Guerra, osservano gli specialisti, gli auto-cannoni furono radiati e, probabilmente, i pezzi restituiti alla Regia Marina. Quando i brontolii  e i nuvoloni della crisi sfociata poi nel conflitto, turbarono  e poi oscurarono l’orizzonte, nessuno dei cervelloni dello Stato Maggiore ebbe memoria degli auto-cannoni anche se la questione della difesa contro/carri era uno dei punti dolenti della struttura del Regio Esercito. Si deve tenere nella massima considerazione, inoltre,
che un esito ben diverso si sarebbe avuto a Bir el Gobi se i carri M.13 fossero stati dotati di motori adeguati e non a mezzo servizio, in quanto  scadentissima produzione Fiat.
A Bir el Gobi accadde, infatti, che quando i carri della 22^ Armoured Brigade se la diedero a gambe, gli M.13 dell’Ariete mostrarono i tragici limiti dei motori Fiat. La velocità era penosamente bassa e non fu possibile coronare il successo con ulteriori distruzioni di mezzi corazzati nemici, in quanto i carri italiani  non riuscirono a portarsi a distanza utile per i cannoni da 47 mm di cui erano dotati.  In altre parole 22^ Brigata britannica avrebbe potuto essere completamente annientata!
Una delle tante, troppe, occasioni sfumate.

I gravi errori tecnici

Nessuno al Ministero della  Guerra, alla Fiat o all’Ansaldo ritenne valida o valutabile la possibilità di utilizzare motori d’aereo per i carri armati, come invece fecero gli americani che fornirono ai Britannici mezzi corazzati propulsi proprio da motori d’aereo. E pensare che, In Italia, erano centinaia i motori d’aereo dismessi e disponibili  e lasciati,  invece,  a trasformarsi in rottami. Capolavori in serie!
Eppure non furono pochi i carri armati nemici dotati di quei motori che si sarebbero potuti esaminare  dopo essere stati neutralizzati in combattimento. Nulla del genere venne minimamente .
Sono quelle testé citate alcune delle perle che cingono l’alloro dello Stato Maggiore del Regio Esercito.
Ma non sono le uniche nel tetro paesaggio bellico italiano, e riferentisi al comportamento dei massimi vertici.
La Germania propose la costruzione su licenza del carro modello M.3, il mezzo corazzato che equipaggiava le divisioni panzer impiegate in A.S. Si rispose che non vi erano materie prime sufficienti. Un FALSO clamoroso.
Inoltre: sempre la Germania propose- estate 1940 – e ancora agli inizi del 1941 di trasferire nel deserto libico una o due divisioni panzer; in un secondo momento la proposta si riferì addirittura a tre divisioni corazzate. L’Italia declinò l’offerta e Hitler dirottò poi le tre unità panzer – che erano già  equipaggiate per il deserto – sul fronte russo. Hitler si proponeva con quelle tre divisioni corazzate e le due già schierate in A.S. (la 15^ e la 21^) di risolvere con un colpo solo la questione nord africana e, in tal modo, costringere la flotta britannica ad abbandonare la base di Alessandria d’Egitto  e così, in seguito, portare, la minaccia direttamente sulle zone petrolifere mediorientali.  E questo sin dalla metà del 1941. Non senza considerare i riflessi sulle operazioni nell’Unione Sovietica.
A dimostrazione della effettiva possibilità di conseguire l’obiettivo, progetto inopinatamente rifiutato dal governo italiano, fa fede l’andamento della offensiva “Crusader”. Con due sole divisioni Panzer più la divisione corazzata Ariete, Rommel annientò completamente quattro brigate corazzate britanniche: la 7^, forte di 163 carri, la 4^ che disponeva di 165 carri Stuart di produzione americana e la 22^ che aveva in linea 158 carri denominati Crusader.     
Si può solo osare di  immaginare cosa avrebbe potuto ottenere con cinque divisioni Panzer. Equivalenti a un corpo d’armata corazzato, con il dovuto supporto di velivoli e di fanteria motorizzata.
Nel contempo non si può non tenere conto, in un giudizio storico oggettivo sullo Stato Maggiore Generale italiano, della decisione, suicida, di rifiutare l’occasione proposta dalla Germania e delle conseguenze di un simile .
• In merito a quanto osservato, si può vedere quanto analizzato nei lavori: “La vittoria tradita”, edizioni Settimo Sigillo, Roma  (dell’autore delle presenti note) e “Gli amici dei nemici” di A. Trizzino, edizioni Longanesi.

Sempre nella sfera delle occasioni gettate al vento, non si deve scordare che l’Italia nel 1940 aveva il Radar.
Non lo si vuole ammettere, non lo si documenta, la storiografia ufficiale lo ignora, anzi lo nasconde, negando la verità, quindi mentendo spudoratamente. Eppure esiste la prova provata a dispetto  e scorno di quanti per decenni hanno invocato la mancanza del radar per giustificare la sconfitta, sostenendo tra l’altro l’inferiorità tecnico-scientifica quale principale causa della disfatta. Tutto falso, tutto strumentale ai fini di accreditare la tesi dell’impreparazione militare, della superficialità e del dilettantismo di Mussolini. Inutile qui aprire un dibattito sul ruolo militare del capo del governo, semmai si dovrebbero analizzare a fondo i capi militari ai quali egli affidò il compito di preparare le forze armate alla guerra e questo sin dal 1927.

I "condottieri"

Del generale Pricolo abbiamo già tratteggiato a grandi linee la figura, qualcosa si è fatto intendere sulla Regia Marina (ammiraglio Cavagnari) circa la protezione dei convogli diretti in Libia, analogamente si è fatto per Graziani e Badoglio rispettivamente Capo di Stato maggiore del Regio Esercito e Capo di Stato maggiore Generale.
Del numero uno della Marina è opportuno riprendere una frase di una  lettera inviata al capo del governo circa il  punto di vista, nella sua qualità di capo della Regia Marina, in merito alla decisione di entrare in guerra:
“Alle trattative di pace l’Italia potrebbe giungere  non soltanto senza pegni territoriali, ma anche senza flotta e forse senza Aeronautica”.

La frase ne chiarisce la statura morale e lo spessore di condottiero e ne tratteggia il coraggio e la dedizione, l’intuizione, la preveggenza tattica,  il miope e ottuso orizzonte strategico e la labile onestà intellettuale.
Si può osservare che disponendo <solo>, di sei navi da battaglia (di cui due, Vittorio Veneto e Littorio, senza pari nel mondo sino al 1943, per dislocamento, armamento, velocità e gittata dell’armamento maggiore) non le si concentra in un’unica base (Taranto), senza adeguate protezioni attive e passive (doppia, tripla fila di reti parasiluri, caccia intercettori pronti all’intervento H24, ricognitori a lungo raggio, radar o radiotelemetro, che dir si voglia) e- ancora- effettuando crociere foranee  offensive, impiegando incrociatori che potevano sviluppare velocità superiori ai 30 nodi (ad esempio:<Classe Montecuccoli> (8.900 tonn.) e <Classe Aosta> (10.800 tonn.), velocità 34 nodi),  attuando pattugliamenti e controlli, anche con siluranti veloci, M.A.S.) utilizzando, dove utile, ad esempio sulle rotte seguite dal nemico, sbarramenti di sommergibili.
Radar, abbiamo avventatamente scritto, acronimo inventato nel 1943 dagli statunitensi, da: (R)adio (d)etecting (a)nd (r)anging,  individuazione e telemetria di oggetti per mezzo della radio.
Eppure, incredibile ma vero, l’Italietta, stracciona e autarchica, aveva il Radar  (o radiotelemetro, oppure radio detector telemetro, denominato così dal suo inventore e realizzatore, il professore Ugo TIBERIO) sin dal luglio 1940!!
Anche se gli Stati Maggiori, tronfi della loro presunzione e alimentati da inesauribile prosopopea, non ne erano, anzi, non vollero esserne a conoscenza. Non si vuole, qui, riscrivere la storia del radar  navale italiano (si veda del medesimo autore, “La guerra dei radar”, Greco & Greco Editori, Milano, 2007).
Basterà ricordare che la prova la si ebbe la notte del 22 giugno 1940 (op.cit. pag. 25 e seg.).
Si vuole,  qui, semplicemente, dirimere una volta per tutte la questione, facendo chiarezza, spazzando via falsi, mistificazioni, manipolazioni, speculazioni e quanto altro inquina la vicenda.
La prova sopra sinteticamente citata non ebbe alcun seguito nei vertici militari. Eppure era la prova provata dell’efficienza, efficacia, validità operativa dell’apparato, sperimentale quanto si voglia, ideato e costruito dal professor Tiberio. Se si preferisce un concreto e valido punto di partenza  da cui trarre forza per perfezionare, potenziare, migliorare prestazioni e disporre di apparati validi in ogni caso e in ogni condizioni meteo. Nulla di questo fu nemmeno pensato.
Ebbene anche uno solo di tali apparati (sperimentali, artigianali, primitivi, d’accordo) installato sul Forte di Taranto - sede del Comando Navale – avrebbe segnalato l’arrivo di velivoli nemici la notte sul 12 novembre 1940, con almeno una decina di minuti di anticipo (si potrebbe determinare con matematica certezza la misura del <preallarme aereo>  calcolandolo sulla base della velocità tenuta dai biplani che avevano una velocità massima di 224Km/h  e una velocità media di  180/190  Km/h).
Una decina di minuti, si è detto, forse più che meno, il tempo  sufficiente per allertare una difesa antiaerea addestrata e ben organizzata, collaudata, motivata, magari asservita al radiotelemetro. Difesa che non esisteva!!!
Giova qui ricordare che i velivoli da caccia italiani non erano equipaggiati con ricetrasmittenti; solamente nel 1942 ciò ebbe qualche riscontro. Un altro primato del generale Francesco Pricolo.

Vuoto intellettuale

Nelle pagine de “La guerra dei radar” (Greco & Greco editori, Milano - 2007), gli episodi e le drammatiche, sanguinose perdite subite dalla Regia Marina nel Mediterraneo, a Malta, Capo Matapan, proprio a seguito della scoperta e intercettazione radar da parte britannica e, prima ancora, dall’infinita ignoranza e incompetenza degli ammiragli di Supermarina, erroneamente convinti, dopo i primi scontri in mare, che il nemico non disponesse di apparati di scoperta di nuova concezione, al punto da sollevare il professor Tiberio dal lavoro sul radiotelemetro, assegnandolo ad altri incarichi. Dimenticando il preciso, tempestivo monito lanciato dal professor Tiberio, circa il rischio di doversi scontrare, in combattimento,  con una Marina dotata di apparati   a supporto del fuoco a grande distanza!!!
Ciò dimostra che : (A) gli esiti della sperimentazione dei Direttori del tiro,  (B) l’episodio del 22 giugno 1940,  e, prima ancora, (C), le foto del Graf Spe (senza sottovalutare  il fallimento dell’intelligence), non avevano insinuato alcun sospetto o dubbio  e tanto meno suggerito riflessioni e accertamenti mediante i Servizi,  nei massimi reggitori della marina militare.
L’approssimazione delle menti direttive della guerra sul mare sottovalutò anche altri aspetti primari delle operazioni.
Il provincialismo serpeggiante nella cultura italiana, la radicata convinzione della nostra superiorità, discendente dalla presunzione legata ai riflessi attribuiti  allo splendore del prestigio connesso con la storia del Rinascimento e dal procedere nell’insegnamento delle materie classiche a discapito di quelle di impronta tecnico-scientifica, si tramutava in una vera e propria spocchia, autolesionista e devastante.
Il livello di preparazione scientifica degli Ufficiali era alquanto misero e questo aveva comportato una costruzione  mentale lenta, farraginosa, involuta, povera di capacità logiche e razionalmente analizzate,
dove l’intuizione  e la prontezza reattiva, tipica quest’ultima del ricercatore e dell’osservatore, era avvilita dall’eco letterario e speculativo del  critico e del sommario giudizio dell’ascoltatore.
L’ improvvisazione insidiava l’analisi la rendeva raffazzonata. Un esempio per tutti.
La corazzata tascabile “Adimiral Graf Spee” era attrezzata con un radar  DETE (dal 1936). Quando l’unità visitava porti stranieri, tale apparato veniva e mascherato con una copertura che non nascondeva la dimensione e la natura.
Sempre di antenna si trattava essendo colà installata, poteva concludere un osservatore, sia pure distratto e non del mestiere.
Ebbene le centinaia di fotografie non ebbero per la Regia Marina alcun interesse e neppure destarono curiosità.

 

Come sorsero i sospetti

Solo dopo il disastro di Matapan e l’intercettazione di una trasmissione radio britannica relativa alla scoperta di una   unità sconosciuta,  a  una distanza proibitiva, quella notte,  per i sistemi ottici, indussero la Regia Marina a sospettare l’impiego di un apparato radio telemetrico e a ricordarsi del professor Tiberio, dei suoi esperimenti,  dei suoi misteriosi apparati,  ritenuti <trappole>, inutilmente dispendiose e inefficaci.
Messi alla prova, quegli apparati mostrarono di scoprire unità di superficie  di medio tonnellaggio alla distanza di 12.000 metri e di intercettare un aereo alla distanza di 80 chilometri.
In altre parole: si erano sprecati cinque anni! I buffoni, padroni della marina militare, non ebbero neppure la decenza di andarsene! NESSUNO LI PRESE A CALC I, BUTTANDOLI FUORI!! ANZI! ALCUNI DI QUESTI RIMASERO AL LORO POSTO E UNO DI ESSI EBBE PERSINO UN INCARICO ANCORA PIÙ PRESTIGIOSO.
Il capo del governo non ebbe il buon senso di fare piazza pulita di quella marmaglia di incapaci. E neppure ritenne opportuno approfondire la conoscenza della materia e, pretenderne, con la forza necessaria, l’impiego su vasta scala.
Purtroppo (e non fu l’unico episodio) il radar era troppo lontano dai sensori intellettuali degli Stati Maggiori e dei comandanti più esposti ai rischi connessi con il  suo impiego da parte del nemico. Limiti intellettuali e ottusità giocarono il ruolo preminente.
Un esempio - ¬già denunciato in altri lavori -  ma che vale a illustrare a pieno in quale atmosfera si agisse a quell’epoca.
Marzo 1941: Si era decisa la missione d’attacco contro il traffico mercantile nemico diretto da Alessandria d’Egitto alla Grecia, al fine di rinforzare le truppe britanniche in vista di un’attesa offensiva germanica. Prima della partenza della squadra navale, al comando dell’ammiraglio Angelo Iachino, un alto ufficiale del suo stato maggiore, si mise a rapporto, del comandante la Squadra navale, e suggerì all’ammiraglio di installare a bordo di alcune navi della squadra, gli apparati di scoperta radiotelemetrica ideati e costruiti dal professor Tiberio, apparati custoditi nelle cantine sotterranee del RIEC (Regio Istituto di Elettrotecnica e delle Comunicazioni), presso L’Accademia Navale di Livorno, dove, appunto, il professore, ingegnere, con l’incarico di insegnante e il grado militare di competenza, dopo l’insegnamento lavorava sui radiotelemetri.
L’Ufficiale in questione era il comandante Tazzari (Oreste Tazzari, Capitano di Corvetta, ingegnere, docente di elettrotecnica all’Accademia Navale di Livorno,  Sottocapo di Stato Maggiore del Comando della Squadra Navale) ufficiale altamente qualificato per sostenere e motivare  quel suggerimento, ma venne liquidato dall’ammiraglio Iachino che lo qualificò per “avvenirista”. Si, proprio quell’ammiraglio che ancora nel dopoguerra non sapeva che la corazzata tascabile germanica “Graf Spee”protagonista della battaglia navale del Rio de la Plata (1939) era dotata di radar (si veda in proposito “Antologia dell’Italia nella 2^ Guerra Mondiale”, edizioni “Settimo Sigillo”).
A seguito di ciò, i radiotelemetri realizzati dal Professor Tiberio rimasero nelle cantine di Livorno, mentre la notte sul 28 marzo 1941, i radar (PRIMITIVI E SPERIMENTALI) degli incrociatori britannici “Orion” e “Ajax” e quello della nave da battaglia “Valiant” intercettarono le navi dell’ammiraglio Cattaneo, incrociatori pesanti Zara e Fiume e quattro cacciatorpediniere di scorta, in navigazione per portare soccorso all’incrociatore pesante Pola, silurato dopo il tramonto, durante il violento attacco aerosilurante scatenato dall’ammiraglio Cunningham, aerosiluranti alzatisi in volo dalla portaerei “Formidable”, velivoli che in precedenza avevano colpito la corazzata Vittorio Veneto- sulla quale era imbarcato l’ammiraglio Iachino, comandante superiore in mare, siluramento che aveva costretto la grande nave a  procedere a velocità ridotta.
Le intercettazioni radar avevano indotto l’ammiraglio Cunningham a voler accertare quale fosse la nave <vista> dai radar e aveva ordinato di puntare su quel bersaglio, sul quale convergevano anche le navi dell’ammiraglio Cattaneo intese a portare soccorso. Scoperte otticamente da un cacciatorpediniere nemico e allertate immediatamente le navi da battaglia di Cunningham, queste aprirono il fuoco a bruciapelo alla distanza di meno di tremila metri, sulle ignare navi italiane, facendo letteralmente a pezzi gli incrociatori Zara e Fiume e due cacciatorpediniere e affondando in seguito il Pola, che, immobile, aveva assistito alla tragedia.  Duemilatrecento i Caduti.
Sicché con un doppio aerosiluramento (Pola e Vittorio Veneto) e con il supporto preziosissimo dei radar, i Britannici ottennero una grande vittoria, consolidando il primato psicologico sulla Regia Marina e rafforzando ulteriormente il predominio britannico nel Mediterraneo.
Aerosiluranti e radar, disponibili, ma misconosciuti dai vertici militari italiani. Misconosciuti? Addirittura irrisi, beffeggiati, con sarcastiche critiche, pubblicate (anni ‘930) in articoli di fondo su quotidiani a grande tiratura nazionale.
Aerosiluri e radar – come sopra documentato- disponibili da prima della dichiarazione di guerra, con soluzioni d’avanguardia!
Neppure in presenza di una  disfatta delle proporzioni indicate –tre grandi incrociatori e due cacciatorpediniere e 2.300 Caduti, il capo del governo ritenne di provvedere a togliere di mezzo i responsabili degli alti comandi, onde ottenere condizioni operative efficaci e una condotta responsabile e degna della gravità del momento. Poi i si chiede perché si perde una guerra!!??
 

Aeroplani. Questi sconosciuti.

Secondo le norme più elementari delle regole di guerra, è indispensabile concentrare le risorse disponibili nell’impegno bellico, senza nulla trascurare o sottovalutare quanto a possibile utilità fornita da mezzi, risorse, armi e apparati disponibili.
Si ebbero, invece, un’amnesia piuttosto grave e una scelta tecnica completamente errata, con l’aggiunta di un errore mostruoso di valutazione.
                                                                                           

Siamo nel campo dei mezzi anti e contro/carri e dei velivoli.
Qui è necessario essere dettagliati per fornire un quadro esauriente e documentato – come sempre – dell’argomento.
Premessa: Negli anni immediatamente seguenti la fine della Grande Guerra 1914-1918 si ebbero analisi specialistiche sull’impiego delle nuove armi, in particolare, carri armati e, appunto, velivoli.
Per quanto attiene a questi ultimi, è opportuno soffermarsi sull’argomento per mettere a fuoco le possibili scelte a disposizione dei generali  Valle e del suo successore, Pricolo, Capo di Stato Maggiore della Forza Armata e, nel contempo, Sottosegretario di Stato (quindi numero due della gerarchia ministeriale essendo il numero uno (cioè a dire: il  ministro) il capo del governo, Mussolini). Soluzione assolutamente negativa, causa di numerosi e pericolosi contrasti, frizioni sotterranee, gelosie, sabotaggi burocratici con influenze altamente negative sulle operazioni, guerricciole da comari, fortemente distruttive. C’è tutta una letteratura d’appendice, altro che Carolina Invernizio.
La questione aeronautica può e deve essere considerata – e lo si comproverà – una delle cause della disfatta militare. Considerato, innanzi tutto, quale premessa coerente, che l’ evoluzione politica registratasi in Italia tra gli inizi del 1939 e il disastroso ed esiziale autunno 1943, ebbero quale fattore scatenante, l’andamento negativo delle operazioni militari e non il contrario.
E’ necessario considerare con la dovuta attenzione l’evolversi degli eventi.
Non per altra ragione se non per il cadenzare degli episodi bellici, si esaminano prioritariamente i primi sei mesi di ostilità (giugno- dicembre 1940).

Cosa accadde in quei circa 180 giorni?


Notte del 22 giugno 1940, il radiotelemetro  RDT 3, realizzato dal professore Ugo Tiberio, apparato collocato su un terrazzo del Regio Istituto Elettrotecnico e delle Comunicazioni (RIEC) di Livorno, segnala con forte anticipo una formazione di velivoli da bombardamento diretti sulla città labronica. Si trattava di bimotori francesi diretti per la prima volta sulla città portuale toscana. L’episodio non ebbe alcuna eco negli ambiti dei massimi responsabili militari e tanto meno in quelli del capo del governo. Addirittura, convinti che il nemico non disponesse di apparati simili, i sui radiotelemetri furono sospesi da luglio alla fine di dicembre di quell’anno cruciale e il professore Ugo Tiberio comandato, d’autorità, ad altro incarico.

3 Settembre 1940: il Generale JODL numero due dell’alto comando della Wehrmacht durante un colloquio con l’addetto militare italiano a Berlino, generale Efisio Marras (colloquio sollecitato dal medesimo Marras su ordine di Badoglio, allo scopo di ottenere dall’alleato germanico carri armati e autoblindo, dopo le sconfitte subite in Africa Settentrionale) JODL offre all’Italia l’invio di due divisioni corazzate germaniche in Libia, pronte in sei/otto settimane (quindi, al massimo, entro la fine di ottobre) nei porti italiani d’ imbarco, per risolvere con un solo colpo la questione Nord-Africana. L’alto comando italiano, addirittura disgustato da quel gesto, rifiuta, sprezzantemente, la proposta.

9  Dicembre 1940: i Britannici, inferiori di numero e di mezzi, ma fortemente superiori quanto a intraprendenza, fantasia e determinazione, sferrano l’attacco in Africa Settentrionale.  Battaglia di Sidi el Barrani. L’offensiva si esaurì il 7 febbraio 1941. Dieci le divisioni italiane distrutte, 130.000 i prigionieri catturati dai Britannici, neutralizzati 400 carri armati italiani (in gran parte  piccoli carri da 3,5 tonnellate) e 1.200 cannoni di vario calibro, conquistate le due piazzeforti di Bardia e di Tobruk, e catturate decine di carri medi italiani da 13 tonnellate intatti, con cannoni da 47 mm, in torrette girevoli, che furono poi reimpiegati, con successo, dagli Inglesi.

Notte sul 12 novembre 1940: attacco di aerosiluranti inglesi nella baia di Taranto. Silurate tre corazzate: Littorio (colpita da tre siluri) Cavour e Duilio. La Cavour virtualmente affondata. Una ventina di vecchi biplani aerosiluranti, superbamente condotti, mette fuori combattimento il 50% della Forza da Battaglia della Regia Marina, conquistando il predominio tattico e psicologico nel Mediterraneo.


Gennaio- Giugno 1941
12 Febbraio 1941, Il generale Erwin Rommel sbarca a Tripoli. In precedenza, il X Fliegerkorps con duecentosettantasei velivoli da combattimento si era rischiarato negli aeroporti siciliani con il compito di attaccare il traffico marittimo avversario in collaborazione (sostanzialmente marginale) con la Regia Aeronautica e per attuare incursioni su Alessandria d’Egitto (sede della Mediterranean Fleet), su Malta e posare mine nel Canale di Suez e nei porti nemici (operazioni mai neppure immaginate dall’alto comando italiano).

12 Febbraio: Unitamente al generale Rommel, sbarcano in Libia i primi contingenti dell’Afrika Korps  (5^ Divisione leggera, rinforzata con ottanta panzer).

31Marzo/13Aprile 1941. Fulminea offensiva di Rommel. Riconquista della Cirenaica salvo  Tobruk. La piazzaforte è  assediata.


15-18 Maggio 1941: Tentativo britannico di riprendere l’iniziativa. Attacco alle posizioni italo-tedesche di Halfaya, Sollum, Capuzzo. Fallimento dell’operazione “Brevity”. Preoccupazioni britanniche circa la situazione della piazzaforte di Tobruk.
 

Maggio 1941- L’alto Comando Germanico si dice pronto ad inviare in Libia altre due divisioni corazzate, oltre la 15^ sbarcata a fine maggio, ma il Comando italiano rifiuta per la seconda volta  l’offerta.

15-17 Giugno 1941- Battaglia di Sollum (per i tedeschi Sollumschlacht). Il generale Rommel, al comando delle forze italo-tedesche, sconfigge duramente i Britannici e annienta l’operazione Battleaxe, il secondo tentativo britannico di liberare Tobruk.

In precedenza: ultimi giorni di Maggio 1941: l’ammiraglio Cunningham comunica a Londra che la presenza dell’aviazione germanica in Sicilia è una pesante minaccia per le unità di superficie britanniche impegnate nel contrasto ai convogli diretti in Africa settentrionale a supporto delle forze italo-germaniche colà impegnate (e questo perché l’aviazione germanica era stata addestrata e armata per gli attacchi alle navi di superficie, contrariamente a quanto accaduto nella Regia Aeronautica).


Risposta di Londra: bisogna impedire che Rommel riceva rinforzi via mare. Da qui l’ordine: “Sbarrare la strada” ai convogli italiani diretti in Libia   “ a qualunque costo”.
Rommel aveva tolto il sonno (popolandolo  con una serie di incubi) ai massimi comandanti a Londra e nel Medio Oriente. Tracciando, immagini terrificanti, sconvolgenti, come quelle vissute da francesi e britannici, in Francia, nella primavera del 1940.
Dalle parole ai fatti: scatta l’operazione tradimento: con orrendi retroscena, tenebrosi, oscuri, resi trasparenti dall’articolo 16 del trattato di pace imposto all’Italia nel 1947 e tuttora vigente (vedi in proposito “8 Settembre 1943: il Tradimento!” Greco & Greco Editori, Milano, 2005, pag 26):

Giugno 1941: 13 piroscafi carichi di materiali bellici per gli italo-tedeschi in Africa Settentrionale, colati a picco.

Luglio 1941, otto mercantili  c.s., affondati.
Agosto 1941, 11 piroscafi colati a picco.
Settembre 1941,  13 i  mercantili affondati.

Si aggiunge qui, che dal 3 Febbraio 1941 al 22 dicembre 1941, le perdite subite in mare (mercantili colati a picco con l’intero carico ed elevate perdite di personale) assommano a 114 tra mercantili, cisterne, petroliere, senza qui elencare le perdite delle unità militari di scorta. (Per il dettaglio, si veda “La vittoria tradita” Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2008).
Sarà utile una sorta di sintesi:
Mentre Rommel era impegnato nei  primi attacchi contro  la piazzaforte di Tobruk, si ebbero, in mare, le seguenti perdite: Aprile 1941, 13 piroscafi affondati (di cui cinque in un’unica azione); Maggio 1941, 11 piroscafi affondati. 
Mentre Rommel predisponeva l’offensiva contro il campo trincerato di  Tobruk, si ebbero: Settembre 1941, 12 tra piroscafi e cisterne affondati. Ottobre 1941,  11 piroscafi affondati; Novembre 1941, 12 piroscafi e cisterne colati a picco (di cui cinque in un’unica azione).
La coincidenza tra le offensive italo-germaniche (con le contemporanee situazioni di profonda crisi delle forze di terra imperiali britanniche) e l’ aumento vertiginoso degli affondamenti, dimostra  l’esistenza di una stretta, implacabile, premeditata, criminale, intelligenza con il nemico.
Una coincidenza sistematica. Un Tradimento che l’articolo 16 del diktat imposto all’Italia nel 1947, e dall’Italia mai denunciato, ha sancito e impresso a caratteri di fuoco sulla reputazione internazionale della Nazione.

In Italia si ragionava di guerra in Europa dal 1927

Non richiede alcuna dissertazione, per spiegare e quindi comprendere, la differenza tra l’annientamento di una divisione nemica in combattimento terrestre e l’eliminazione della medesima (soprattutto dei suoi materiali pesanti – carri armati, artiglierie, armi di accompagnamento, munizioni,  carburanti e forti aliquote di truppa- e la  conseguente distruzione) mediante l’affondamento delle navi che trasportano la medesima grande unità dal territorio metropolitano a quello dell’azione.

Ne deriva una considerazione elementare: la difesa dei convogli era l’esigenza strategica primaria.

Si erano avuti a disposizione almeno vent’anni per studiare, riflettere programmare e  concretizzare le misure necessarie per non dire indispensabili.
Erano necessari: mezzi adeguati, personale selezionato e addestratissimo, cervelli per localizzare lo scenario operativo dal punto di vista strategico e  tattico e predisporre, determinare, stabilire i criteri da adottare e soprattutto tanto, tanto addestramento teorico e in mare,utilizzando ogni elemento e mezzo tecnico scientifico utilizzabile e predisponibile. Il tutto con il supporto di un’aviazione navale adeguata e strettamente coordinata con le formazioni navali adibite al compito.
Ricordando che dal 1927 il capo del governo aveva sensibilizzato tutti, militari, industriali e quant’altro sulla ineludibilità di una guerra in Europa.

Uno studio pubblicato nel Regno Unito nel 1943, afferma che in tempo di pace i militari (segnatamente la Marina militare) devono studiare ed elaborare i piani operativi da applicare contro qualsivoglia nemico si profilasse all’orizzonte: ciò significa che la previsione deve includere tutti i potenziali avversari anche se al momento risultino alleati e/o formalmente non ostili. L’Italia negli anni ’30 del XX secolo si barcamenava tra contatti amichevoli  con Francia e   Regno Unito e una diffidenza più o meno marcata con Jugoslavia (infida) e Germania (ammirazione e timore reverenziale).
Tuttavia nulla, assolutamente nulla venne fatto nel senso sopra indicato: Non si valutò il possibile ruolo strategico dell’Impero, e la sua straordinaria posizione geo-politica sull’Oceano Indiano e sul Mar Rosso;
si ignorò il peso tattico della Libia – e più precisamente di Tobruk, e la conseguente potenziale minaccia sul Canale di Suez e su Alessandria d’Egitto, base fondamentale della Flotta Britannica: si dimenticò colpevolmente il possibile peso di Rodi nel controllo strategico  e tattico nel Mediterraneo orientale, si sottovalutò, in conclusione, quanto si sarebbe potuto e dovuto fare nel campo del pensiero politico e tecnico per attribuire allo strumento militare il peso specifico necessario per motivare la politica di potenza e di prestigio che il capo del governo perseguiva anche con alcune mosse avventate e spregiudicate. In effetti i militari non lo sostennero adeguatamente con le loro scelte, tutt’altro  che tempestive e significative.
Vi fu una scelta completamente errata degli uomini posti al comando di settori vitali. Gente impreparata, inetta, ottusa, legata a criteri e concetti superati, ignoranti rispetto a quanto concettualmente, teoreticamente, concretamente si andava evolvendo e realizzando nel decennio 1920-1930 e ancor più assenti,  ottusi, privi di perspicacia, tardi,  gretti, meschini, intellettualmente inesistenti nel  decisivo periodo storico 1931-1939.  Ma fortemente ambiziosi,  avidi, cupidi, addirittura famelici di potere, di denaro.

Riflessione

Il panorama aeronautico tratteggiato, pur se schematico e sostanzialmente sommario, lascia intravvedere la disponibilità di velivoli dotati di non secondari requisiti, all’altezza se non superiori al caccia britannico Hurricane. Ne consegue la concreta disponibilità di entrare nel conflitto con un velivolo da caccia nettamente superiore al biplano Fiat CR. 42, sia come prestazioni, sia come armamento. Tuttavia vi  si frapponeva una pregiudiziale enorme: togliere di mezzo la Fiat oppure costringerla a scendere a miti consigli circa la partecipazione a programmi di costruzione coordinati per intensificare la disponibilità di velivoli, sia per dare autorevolezza allo schieramento bellico.
Difficile, quindi, sostenere- come accade da decenni – la tesi dell’inferiorità tecnica e industriale. Mancò del tutto una politica della progettazione e della produzione e una pianificazione razionale delle risorse e delle capacità,  come pure delle specializzazioni, che non si dovevano rilevare ed evidenziare conflitto durante , ma ben prima, realizzando il piano industriale almeno agli inizi degli anni 930, con metodicità, preoccupandosi, prima di ogni altra misura , di creare le aree di protezione per le industrie, limitando, se non escludendo in buona misura, i rischi derivanti dalle incursioni aeree e garantendo la continuità della produzione militare.
I ritardi si accumularono, la dispersione di energie, di risorse, si dimostrò un autentico flagello. Invece di concentrare la produzione su uno, massimo due velivoli, ciascuna industria, lavorò per proprio conto, con risultati, pur se brillanti nel campo progettuale e concettuale, fatalmente contenuto e sostanzialmente irrilevante quanto a gettito di velivoli operativi validi e affidabili, quindi poverissimi di peso bellico.
Non ci si può non chiedere quale fosse la capacità percettiva dei massimi responsabili a fronte della estrema frammentazione costruttiva, del lievitare del magazzino pezzi di rispetto e dell’ampiezza geografica dei fronti di combattimenti  che pesavano sulle dislocazione dei reparti e richiedevano sempre più mezzi e sostegno tecnico. Non si può neppure sottovalutare quale potesse essere l’impressione suscitata nei piloti costretti a decollare con i biplani CR.42 o con i pur migliori Macchi 200 per contrastare le versioni più avanzate degli Hurricane  e degli Spifires, oppure i caccia di produzione americana che armavano non pochi squadroni della RAF.
Il confronto -  pur dando il dovuto riconoscimento e merito ai piloti italiani, abili, motivati, coraggiosi, addirittura leggendari quanto ad abilità nel pilotaggio acrobatico – era  pur sempre incentrato su fattori precisi, rigorosi, raramente variabili: velocità, manovrabilità, densità di fuoco, robustezza del velivolo e- da non  dimenticare- numero.

L’aver bocciato velivoli come il Reggiane 2000 e il Caproni Vizzola F.5 e valutati con disprezzo gli ulteriori prodotti della famiglia costituisce un atto di autoaccusa per i vertici della Regia Aeronautica.
Ci si riferisce, per i non conoscitori della materia, ai monoplani Reggiane Re. 2001 (velocità massima 545 Km/h, armamento 4 mitragliatrici 2 da 12,7  nel muso, due da 7,7  alari); Il velivolo fu impiegato anche come cacciabombardiere e come caccia notturno. “Nelle mani di un pilota esperto – ha scritto un asso britannico, Laddies Lucas , in un suo libro, il caccia italiano era un avversario temibile anche per lo Spitfire”.
Nella produzione “Reggiane” del Gruppo Caproni, anche il Reggiane Re.2003, velivolo da ricognizione: Velocità massima 475 Km/h, armamento 2/12,7, carico bellico di caduta 500 chilogrammi, equipaggio, 2; primo volo 29 luglio 1941 a Reggio Emilia. Sostituiva gli obsoleti biplani impiegati persino come caccia.
Infine: il Reggiane Re.2005, superbo velivolo, con una velocità in linea orizzontale di 644 Km/h e con un armamento formato da 2 mitragliatrici da 12,7 e tre cannoni da 20 mm. Si già riferito dell’oscura vicenda della scomparsa del motore, spedito via ferrovia dalla Germania e ritrovato dopo oltre quattro mesi, episodio che compromise la produzione e l’entrata in linea dell’eccezionale velivolo da caccia, considerato da molti esperti come il più bell’aereo della seconda guerra mondiale.

Come si poteva, al cospetto di velivoli con velocità ampiamente superiore ai 500 Km/h, affermare di potersi opporre con successo impiegando biplani più lenti del 27% (velocità inferiore di circa un terzo) e armati con due mitragliatrici da 12,7 contro otto mitragliatrici  da 7,7 millimetri, oppure quattro mitragliatrici  e 2 cannoni  da 20 millimetri? E in alcuni casi contro Hurricane armati con quattro cannoni da  20 millimetri?

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Per quali ragioni le argomentazioni qui analizzate non sono state oggetto di valutazione, se non di studio e approfondimento, da parte di storici e storiografi ufficiali e ufficiosi?
Forse perché si sarebbe dovuto obbligatoriamente ammettere e concludere che era più che possibile, anzi certissimo, realizzare prima del giugno 1940 una linea caccia  e di aerosiluranti, poderosa e temibile, mentre – al contrario- per ragioni oscure non ancora approfondite e denunciate, si volle perseguire una linea diversa, non senza favorire qualcuno e danneggiare altro che ha il suggestivo nome di Italia?
Come si può classificare se non con totale incompetenza e straordinaria malafede, la decisione di entrare in guerra con una forza caccia basata – 10 giugno 1940 – su circa 200 biplani CR.42, su altrettanti CR.32  (obsoleti) e poche decine di Macchi200 e Fiat G .50, penalizzati da difetti strutturali (auto rotazione)?
E’ vero: nei primi mesi del 1940, i Britannici impiegavano alcuni  vecchi biplani   Gladiator  , comunque più veloci e meglio armati dei CR.42 e dei CR. 32 (questi ultimi veramente patetici), ma nel giro di qualche mese, stante l’ignavia italiana e l’incapacità italiana di assumere iniziative decise,a Malta confluirono Hurricane e Spitfire, sommergibili , bombardieri e ricognitori, e persino una flottiglia di incrociatori leggeri e cacciatorpediniere. Inoltre l’isola era dotata di stazioni radar.

E Malta divenne una fortezza.
Non trovano giustificazioni le tesi secondo le quali nel duello aereo primeggiavano la manovrabilità e la snellezza, requisiti fondamentali della guerra aerea negli anni 1917-1918. Ora facevano premio: robustezza, volume  e concentrazione  di fuoco. Non più duelli manovrati e persino cavallereschi, ma solo passaggi velocissimi e raffiche: il calcolo sarebbe puerili e altrove è stato fatto: cadenza di fuoco per ciascuna arma al secondo moltiplicato per il numero di armi: e si ottiene il numero di colpi che, in un minuto secondo, investe il velivolo nemico                                                                                                                                               (2- Continua).